Dopo eoni torno a scrivere due parole, ispirato dai momenti non proprio felici della vita e dai recenti Eroi alternativi ma - a mio parere - quanto mai realistici dell'antologia "N di meNare" presentato da Ignoranza Eroica e Nerheim cui hanno contribuito amici scrittori che mi hanno sempre incentivato sia negli scribacchi che nella pittura, come l'oramai famoso Alessandro Forlani, eterno maestro di lettura, storia e modellismo.
Gioia
Dicono
che sia un tipo forte, ma di forte ho solo il vino che riesco ancora a
ingollare. Si una volta, forse, quando avevo una donna, una casa, e sogni e
speranze. Oggi sono qui da solo davanti a un pezzo di carta, mezzo ebbro dell’alcol
d’un succo d’uva di cattivo fermento che inebria la mia testa, in un sudicio
ripostiglio dell’unica bettola che riesco a permettermi.
L’azza sta posata sulla
branda, il coltellaccio è messo lì davanti sul tavolo. L’acciaio illuminato dal
riverbero debole dalla mezza candela di sego che le poche monete m’hanno
concesso. Le armi, sì, loro le curo…le
amo, le lucido, le sfrego come il mio
batacchio nelle notti solitarie, ché manco una puttana posso permettermi. Ma
sono affilate, tremendamente affilate ché la cote l’ha regalata mio nonno e non
costa nulla, e il tempo non manca quando cerchi lavori sporchi; e allora affili
le lame. Ci metti la cura che avresti dovuto mettere nella tua vita ché non
finisse nella merda che è ora. Sventrare per denaro è la strada facile: niente
domande, niente rammarico. Il nemico è di qualcuno, tu manco lo conosci. Gl’infili
il ferro nell’addome, lo sgozzi veloce per pietà e ti guadagni la paga per
comprarti la pagnotta…porcoboia!...sono
sbronzo, vaneggio…Merda il boccale! Lo ribalto sui fogli di quel vecchio fichetto
del cazzo che vuole che l’ammazzi l’amante della sua donna…il foglio col
ritratto della vittima assorbe il vinaccio, peccato, l’avevo pagato i due soldi
che lo avean fatto bono per la serata. Piglio la carta tinta e molla, i tratti
a carbone son altro che una chiazza indistinta. Chi porco lo riconosce più
quello da accoppare adesso! Vabbè, lui m’ha detto che l’altro sarebbe passato
sotto il ponte del Foglia all’una di notte. Mi metto lì poco prima e poi ammazzo
quelli che ci capitano sotto nel giro di mezz’ora e via. Probabilità alta di
riuscire, certezza di guadagni. Due spicci, ma si tira a campare. Tanto gli
amici non lo sanno, no, non sanno quello che faccio, e manco mamma e babbo,
poretti, che si sbattono sui campi. Loro pensano che io sia un milites, di quelli valorosi tutti
fronzoli e pennacchi. Poveri, ci hanno tante di quelle tribolazioni che manco
mi sogno di farli preoccupare per me. Quando ci vado da loro, di rado, gli
porto una fiasca di vino e gli racconto di come è bello quel posto o
quell’altro, che ho posti e tanti da raccontare, ché nelle mie vite ci ho
girato parecchio il mondo in posti di merda che son da raccontare. E loro son
contenti ché vedono che ho le armi lucide e belle e allora pensano che sono un
bravo milites. Bravi mamma e babbo,
tranquilli ché io crepo da me e manco lo verrete a sapere e ci pensa il fiume a
farmi il funerale così risparmiate i denari.
E’
mezzanotte, tocca andare ad sbrigar le faccende. Smetto di scrivere ché manco
lo so perché ho iniziato ma il vino forte ogni tanto fa di ‘sti giuochi. Deimaldestri quanto sono stufo. Adesso
poso la penna e vi racconto quindi stare all’urecchia che le cose dette non rimangono scritte.
Mi infilo le brache –
si bona, cazzo volete, si sta comodi nella bettola col petenecchio al vento
tanto mica ci è la suor castità qui dentro! – e mi metto quelle boia di brache
rinforzate e il farsetto imbottito che solo déi sanno quanto ti fa sudare solo
a indossarlo. I calzari con la punta di ferro come ciabatte. I guanti di
scorzone con piastre di piombo stan’ comodi come mutande fresche, mi ci riesco
a grattare il culo con quelli addosso oramai.
Mi lego il coltellaccio
col fodero alla cintura, agguanto l’azza. E’ bella perché è ignorante. Ricordo ancora
quella notte a Pizosa quando con mezza dozzina di mazzate riuscii a far
schizzare le viscere a quel fighetto cialdrese sotto la sua fottuta corazza a piastre.
Piglia questo merda ciadrese,
pensavo. Ridevo mentre picconavo il ventre e aprivo il ferro come burro col
ferro caldo. L’azza – diobono - che
arma per meNare forte che è! solo noi
italioidi ce la potevamo cagare dalla mente.
E allora ‘orcazozza andiamo a guadagnarci la
pagnotta, o la fiasca, anzi meglio questa. Forse anche ‘na battona ma quella ti
spolpa di fatica e non la magni mica…tranne che in certi posti che poi comunque
ti rimane la fame perché è solo la broda. No forse è meglio la toppa sulle
brache ché ammazzare la gente che ti si vede la chiappa non è mica cosa bella.
Poi a babbo e mamma cosa gli fai la figura del milites gajardo. Si forse è la volta buona che col soldo mi ci
faccio le brache nuove, e che magari ci compro una macina. Il cicisbeo che m’ha
ingaggiato è uno che ci ha la spocchia seria, di quelli che indossano la
gorgiera e mettono le salse all’uovo sulla focaccia coll’uovo. Ce n’ha di soldi
‘sto patacca che le donne le potrebbe avere a ogni sera una diversa. Ma lui ci
ha la cotta per una puttana che la crede sua promessa, anche se lei di suo
mestiere se ne passa uno a sera…e fosse anche solo uno che per lei è lavoro,
mica gioia.
Vabbè chissenefrega, io
ammazzo, l’altro paga, tutti felici.
La cappa è lì appesa
alla porta di legno, la strappo, la indosso. Esco.
Ci è casciara in locanda, tra le luci calde
che illuminano il legnatico di sotto con tavoli, panche e gente molesta che
beve e ciarla. E’ l’immagine della taverna, di quelle che ti raccontano nelle
storie da bambino, quando fuori è freddo e allora ti immagini ‘sto posto che fa
caldo col focolare e le lucerne, con l’oste simpatico e pasciuto che ti dà da
bere boccali di birra e tutti che cantano giocano ballano nei tavoli accanto al
focolare.
Però non ti raccontano
del puzzo di piscio, di alcol di vomito e di mutande non lavate. E manco delle
bestemmie, delle imprecazioni e del sangue che scorre quando uno bara o non
paga il conto. E allora tutti che scattano a difesa dell’oste che s’è fatto
risoluto mannaia alla mano contro il manigoldo taurino che per risposta
agguanta una manéra. Ma gli altri mica che son bravi a difender quello più
debole, sé, è solo ché l’oste è l’unico a sapere dove tiene le sue scorte di
vino buono e allora conviene averselo amico e vivo.
E’ questa la storia che
attraverso scendendo le scale di legno che suona chiocco. Ci è la Bella giù in
fondo al bancone, lei è bella non solo di nome. E’ uno splendore, il mio amore
irraggiungibile. Sta con uno che non capisco il perché che per me non c’entra
una cippa con lei. Però è così e lei
è una donna tosta ché le piace il ruspante e pure le armi, e le piace essere
forte e mica farsi mettere i piedi per terra. Fa la zoccola ma solo di nome
perché è lei che sceglie i suoi e si tiene tutto il malloppo. Non l’ho mai
avuta, mi fa rispetto. Ma chiacchieriamo un sacco. Si, ‘orcoboia, ne sono cotto! Ché lo so che è lei la mia donna ma non
ci ho il coraggio di dirglielo che mi piace ché son uomo d’onore in fondo, e se
una donna sta con uno non si fa morte al decoro e non s’offende la scelta di
lei e ammanco l’onore di lui. Ci spero, un giorno forse. Non mi ci faccio manco
le seghe che allora capisci che è amore vero…
Son fermo anche troppo
a guardarla. Lei si gira, io mi volto. Apro la porta. Esco fuori.
Fa
freddo deicagnacci! Un botto! Ha piovuto e ci è la nebbia, che
tempo di merda, autunno perfetto.
Meraviglioso. A me
piace. Tutti schifano camminare nell’aria umida ma a me gusta un sacco ché ti
aiuta a pensare.
M’avvio lungo il
passeggio del fiume che scorre placido, tranquillo, poco distante dall’argine. La
nebbia ottenebra tutto ed i vacui aloni delle lucerne ad olio delle vie
principali si riflettono nella foschia e proiettano ombre macabre lungo il
viale. Il fiume manco si vede…anzi, non solo quello, invero si vede po’ che
niente, e men che meno si sente qualcosa. E’ tutto silenzio.
L’eco di dodici
rintocchi e mezzo rompe la quiete, e la sagoma scura del ponte sfonda la morbida
bambagia nebbiosa ed appare sfocata lì davanti.
Mi
sistemo dietro le botti marce dei pescatori, tra le nasse rotte e le reti fraide che sanno di pesce marcio. Il
mantello scuro mi rende come il resto, uno scadente ammasso di utensili da
riparare. E attendo.
Ti scappa sempre da
pisciare quando aspetti…oh! puoi avere anche diec’anni d’esperienza in agguati
e missioni omicide e comunque, quando te ne stai nascosto ci hai bisogno di
mingere che manco avessi bevuto un otre!
Boialadra, me la faccio nelle brache, maledetto vinaccio acido annacquato!
Canta la civetta.
Bell’animale.
Simpatico, allegro, sfigato…un po’ mi ci riconosco. Tutti pensano che porti sfortuna
ma lei fa quello che fanno tutte le creature notturne, sopravvivono uccidendo
ciò che schifa agli altri animali, sorci, rane, cavallette, sì che di giorno al
sole tutto sia più bello. Un po’ quello che facciamo noi mercenari. Uccidiamo
di notte, togliamo di mezzo quello che schifa ai messi bene, così che di giorno
sia un mondo più pulito mentre lo
sanno i pesci e i vermi cosa è successo. E lo sappiamo anche noi…noi che per il
soldo facciamo ciò che rende felice i pochi che possono permettersi di rendere
la loro vita migliore, mente gli sfigati, quelli che faticano nelle cave, loro chi
se ne importa se muoiono o vengono ammazzati. Chi se ne importa di quello che
sfondi nella corazza per prendere Faneria o di quello che sgozzi per arrivare
ad ammainare lo stendardo di Piumabella. Chi se ne importa di noialtri.
No, chi ci ha il soldo
ci da foraggio, come fieno a mungane
che allora brucano senza farsi domande e brucano e basta…Suona un rintocco. E’
l’ora.
Fa freddo.
E’ umido.
Boialadra!
basta prendere ‘sti incarichi notturni, meglio il fegato gonfio dall’alcol
rancido della bettola che il dolore degli ossi per la ruggine delle giunture,
ma che che boia….ecco i passi! Lui,
sicuro!
E se non è lui, va bene
lo stesso: posto sbagliato momento sbagliato!
La sagoma esile appare
nell’umida torbida arancione delle lucerne lontane.
Gli balzo addosso da
dietro, il coltello, svelto, premuto alla gola.
Non sono una merda mi
ci assicuro che sia quello giusto, tanto non mi vede in faccia.
“Ti scopi la Gioia?”
Lui non risponde, è agghiacciato.
Gli scorro lento il rasoio sulla gola da far stillare il sangue e sentire quel
dolore piccolo e acuto come quanto ti tagli con la carta i polpastrelli, ma
sulla gola. Ripeto la domanda, risponde affannato.
“Si! si, dioboni si! Scusa!
Non lo faccio più! Lei…lei mi vuole bene! Mi racconta le cose che gli fa l’altro,
quello che la vuole solo per lui…gli son d’aiuto…no no non l’ho fatto apposta….”
Si dilunga in scuse. Racconta,
solite storie della gente alta: lui ha i soldi, la sevizia, vecchio, bavoso,
lei giovane e bella, fragile, strappata di forza per sodalizio d’affari tra
magnaccia…di quelle storie da racconti davanti al fuoco dove poi arriva il
cavaliere, uccide il mostro e libera il suo vero amore.
Ma lui è un garzone di
bottega. Semplice, umile, giovane, idiota. Non avvezzo alle armi ma solo alla
farina e al massimo alla pala. E io ci ho già metà dei soldi in scarsella.
Prega, supplica, si
piscia addosso ma tanto chissene,
anche io l’ho fatto prima.
Lui lo fa per amore
vero ché Gioia è una gioia per il cuore. Smielato? si, troppo. Mi ricorda
quando ero davvero un milites ed
amavo lei da impazzire. Al fronte ci andavo per mettere il gruzzolo da parte
per sposarci e trovare un posto migliore in cui vivere. Poi lei lo ha trovato
il posto migliore. Con un altro.
“Ehi mezzasega” gli
dico “Ohi?!”.
Gli mollo uno scossone,
lo libero, gli punto la lama al petto ché non fugga via.
Il riverbero cela i
nostri volti, i suoi occhi terrei si vedono anche al buio, come i cavalli
quando schiumano e ci hanno il bianco delle orbite che lo vedi a miglia di
distanza.
“Te ora mi stai a
sentire, ché sei bravo e giovane e che forse ci hai un po’ di speranza a sta
merda di vita. Basta ascoltarti la verga! Ascolta invece la testa! Lei ci ha il
soldo, te no. Te ci hai solo che sei bello e il pistello che funziona, ma te
sei un fornaio e manco un ferraio che può averci carriera. Te sei solo il
sollazzo. Sei giovane e puoi farcela a crescere meglio. Solo che non stare dietro
a quello che non puoi raggiungere perché quello che non è la tua strada non t’appartiene
e ti spolpa nelle energie e alla fine arrivi spento e poi lei ti molla perché
le tue braci non ardono più, capito!?”
Lui pare annuire,
affanna, ma ascolta. Proseguo.
“E allora ascoltami, io
non t’ammazzo. Non lo so perché, però te sei bravo, lo vedo. Sei come tutti
noi, caduto nel tranello della puledra bella e disponibile. E io ti lascio
andare solo se mi giuri qui ora, sulla tua vita, che di retta la testa e non il
tuo arnese da ora in avanti.”
“ma io l’a…” balbetta
incerto.
“E no cazzo!” l’interrompo
lesto “così non ci siamo! Sta zitto! Te sei ‘nnamorato della sua buchetta umida
ché adesso siete giovani, ma poi lei è di alta classe e vuole chi ci ha il
maniero e adesso solo il vigore della trasgressione. Trova il tesoro in chi ti
vede prezioso nelle manate di farina sulla pagnotta. Fai la gavetta e apri un
tuo mulino se ti piace, e allora lì sarai ricco di grano e pane e di chi ti
vuole per ciò che te sei davvero!”
Il respiro si fa meno
affannoso. Vado al sodo.
“Adesso senti: il tuo
lavoro è fare il fornaio. Il mio è ammazzare, ammazzare te!”
Lui, allarmato, tenta la
fuga ma io gli stringo svelto la camisa
umida di nebbia e sudore freddo.
“Statti
buono e sitto! Non t’ammazzo, ma
siccome sei nella merda tocca che ci accordiamo”
Svelto gli afferro la
mano e la lama rasoio gli trancia il dito medio, di quello che aveva il dono
anulare di lei. Soffoco l’urlo col guanto, lo stringo, l’arto leso sulla camisa
ché si tinga del sangue.
“Ci è un prezzo da pagare
per ogni stronzata. Questo è il tuo…con qualche omaggio. Ora sparisci, lasciami
la tua camicia sporca che mi serve da prova insieme al tuo pezzo, Tanto te sei
giovane e il freddo ti fa un baffo”.
Si cava la veste, io
avvolgo il moncone negli stracci e armeggio nella scarsella.
“Tieni questi, si
prendili e non rompere la cippa e
sparisci da qui”.
Gli metto tre soldi
nella mano sana e con una pacca sul culo lo mando via.
“Vai mezzasega, scappa
e vedi di non farti più vedere qui ché se ti rivedono domattina, prima
ammazzano te e poi me, ma se questo succede, ad ammazzarti prima, quello son
io”.
Lui si getta nella
nebbia. Io mi gratto il culo. La civetta lancia un altro richiamo.
Stasera ho perso tre
soldi. Domani, se riesco a puntare il
dito sulla situazione, ne piglio quattro…ho un soldo di margine incerto. Godiamoci
la sorte: mezza fiasca di vino in taverna chiacchierando con Bella sono una
giusta ricompensa.