martedì 17 luglio 2018


Dopo eoni torno a scrivere due parole, ispirato dai momenti non proprio felici della vita e dai recenti Eroi alternativi ma - a mio parere - quanto mai realistici dell'antologia "N di meNare" presentato da Ignoranza Eroica e Nerheim cui hanno contribuito amici scrittori che mi hanno sempre incentivato sia negli scribacchi che nella pittura, come l'oramai famoso Alessandro Forlani, eterno maestro di lettura, storia e modellismo.




Gioia






Dicono che sia un tipo forte, ma di forte ho solo il vino che riesco ancora a ingollare. Si una volta, forse, quando avevo una donna, una casa, e sogni e speranze. Oggi sono qui da solo davanti a un pezzo di carta, mezzo ebbro dell’alcol d’un succo d’uva di cattivo fermento che inebria la mia testa, in un sudicio ripostiglio dell’unica bettola che riesco a permettermi.
L’azza sta posata sulla branda, il coltellaccio è messo lì davanti sul tavolo. L’acciaio illuminato dal riverbero debole dalla mezza candela di sego che le poche monete m’hanno concesso. Le armi, sì, loro le curo…le amo, le lucido, le sfrego come il mio batacchio nelle notti solitarie, ché manco una puttana posso permettermi. Ma sono affilate, tremendamente affilate ché la cote l’ha regalata mio nonno e non costa nulla, e il tempo non manca quando cerchi lavori sporchi; e allora affili le lame. Ci metti la cura che avresti dovuto mettere nella tua vita ché non finisse nella merda che è ora. Sventrare per denaro è la strada facile: niente domande, niente rammarico. Il nemico è di qualcuno, tu manco lo conosci. Gl’infili il ferro nell’addome, lo sgozzi veloce per pietà e ti guadagni la paga per comprarti la pagnotta…porcoboia!...sono sbronzo, vaneggio…Merda il boccale! Lo ribalto sui fogli di quel vecchio fichetto del cazzo che vuole che l’ammazzi l’amante della sua donna…il foglio col ritratto della vittima assorbe il vinaccio, peccato, l’avevo pagato i due soldi che lo avean fatto bono per la serata. Piglio la carta tinta e molla, i tratti a carbone son altro che una chiazza indistinta. Chi porco lo riconosce più quello da accoppare adesso! Vabbè, lui m’ha detto che l’altro sarebbe passato sotto il ponte del Foglia all’una di notte. Mi metto lì poco prima e poi ammazzo quelli che ci capitano sotto nel giro di mezz’ora e via. Probabilità alta di riuscire, certezza di guadagni. Due spicci, ma si tira a campare. Tanto gli amici non lo sanno, no, non sanno quello che faccio, e manco mamma e babbo, poretti, che si sbattono sui campi. Loro pensano che io sia un milites, di quelli valorosi tutti fronzoli e pennacchi. Poveri, ci hanno tante di quelle tribolazioni che manco mi sogno di farli preoccupare per me. Quando ci vado da loro, di rado, gli porto una fiasca di vino e gli racconto di come è bello quel posto o quell’altro, che ho posti e tanti da raccontare, ché nelle mie vite ci ho girato parecchio il mondo in posti di merda che son da raccontare. E loro son contenti ché vedono che ho le armi lucide e belle e allora pensano che sono un bravo milites. Bravi mamma e babbo, tranquilli ché io crepo da me e manco lo verrete a sapere e ci pensa il fiume a farmi il funerale così risparmiate i denari.

E’ mezzanotte, tocca andare ad sbrigar le faccende. Smetto di scrivere ché manco lo so perché ho iniziato ma il vino forte ogni tanto fa di ‘sti giuochi. Deimaldestri quanto sono stufo. Adesso poso la penna e vi racconto quindi stare all’urecchia che le cose dette non rimangono scritte.
Mi infilo le brache – si bona, cazzo volete, si sta comodi nella bettola col petenecchio al vento tanto mica ci è la suor castità qui dentro! – e mi metto quelle boia di brache rinforzate e il farsetto imbottito che solo déi sanno quanto ti fa sudare solo a indossarlo. I calzari con la punta di ferro come ciabatte. I guanti di scorzone con piastre di piombo stan’ comodi come mutande fresche, mi ci riesco a grattare il culo con quelli addosso oramai.
Mi lego il coltellaccio col fodero alla cintura, agguanto l’azza. E’ bella perché è ignorante. Ricordo ancora quella notte a Pizosa quando con mezza dozzina di mazzate riuscii a far schizzare le viscere a quel fighetto cialdrese sotto la sua fottuta corazza a piastre. Piglia questo merda ciadrese, pensavo. Ridevo mentre picconavo il ventre e aprivo il ferro come burro col ferro caldo. L’azza – diobono - che arma per meNare forte che è! solo noi italioidi ce la potevamo cagare dalla mente.
E allora ‘orcazozza andiamo a guadagnarci la pagnotta, o la fiasca, anzi meglio questa. Forse anche ‘na battona ma quella ti spolpa di fatica e non la magni mica…tranne che in certi posti che poi comunque ti rimane la fame perché è solo la broda. No forse è meglio la toppa sulle brache ché ammazzare la gente che ti si vede la chiappa non è mica cosa bella. Poi a babbo e mamma cosa gli fai la figura del milites gajardo. Si forse è la volta buona che col soldo mi ci faccio le brache nuove, e che magari ci compro una macina. Il cicisbeo che m’ha ingaggiato è uno che ci ha la spocchia seria, di quelli che indossano la gorgiera e mettono le salse all’uovo sulla focaccia coll’uovo. Ce n’ha di soldi ‘sto patacca che le donne le potrebbe avere a ogni sera una diversa. Ma lui ci ha la cotta per una puttana che la crede sua promessa, anche se lei di suo mestiere se ne passa uno a sera…e fosse anche solo uno che per lei è lavoro, mica gioia.
Vabbè chissenefrega, io ammazzo, l’altro paga, tutti felici.
La cappa è lì appesa alla porta di legno, la strappo, la indosso. Esco.
Ci è casciara in locanda, tra le luci calde che illuminano il legnatico di sotto con tavoli, panche e gente molesta che beve e ciarla. E’ l’immagine della taverna, di quelle che ti raccontano nelle storie da bambino, quando fuori è freddo e allora ti immagini ‘sto posto che fa caldo col focolare e le lucerne, con l’oste simpatico e pasciuto che ti dà da bere boccali di birra e tutti che cantano giocano ballano nei tavoli accanto al focolare.
Però non ti raccontano del puzzo di piscio, di alcol di vomito e di mutande non lavate. E manco delle bestemmie, delle imprecazioni e del sangue che scorre quando uno bara o non paga il conto. E allora tutti che scattano a difesa dell’oste che s’è fatto risoluto mannaia alla mano contro il manigoldo taurino che per risposta agguanta una manéra. Ma gli altri mica che son bravi a difender quello più debole, sé, è solo ché l’oste è l’unico a sapere dove tiene le sue scorte di vino buono e allora conviene averselo amico e vivo.
E’ questa la storia che attraverso scendendo le scale di legno che suona chiocco. Ci è la Bella giù in fondo al bancone, lei è bella non solo di nome. E’ uno splendore, il mio amore irraggiungibile. Sta con uno che non capisco il perché che per me non c’entra una cippa con lei. Però è così e lei è una donna tosta ché le piace il ruspante e pure le armi, e le piace essere forte e mica farsi mettere i piedi per terra. Fa la zoccola ma solo di nome perché è lei che sceglie i suoi e si tiene tutto il malloppo. Non l’ho mai avuta, mi fa rispetto. Ma chiacchieriamo un sacco. Si, ‘orcoboia, ne sono cotto! Ché lo so che è lei la mia donna ma non ci ho il coraggio di dirglielo che mi piace ché son uomo d’onore in fondo, e se una donna sta con uno non si fa morte al decoro e non s’offende la scelta di lei e ammanco l’onore di lui. Ci spero, un giorno forse. Non mi ci faccio manco le seghe che allora capisci che è amore vero…
Son fermo anche troppo a guardarla. Lei si gira, io mi volto. Apro la porta. Esco fuori.

Fa freddo deicagnacci! Un botto! Ha piovuto e ci è la nebbia, che tempo di merda, autunno perfetto.
Meraviglioso. A me piace. Tutti schifano camminare nell’aria umida ma a me gusta un sacco ché ti aiuta a pensare.
M’avvio lungo il passeggio del fiume che scorre placido, tranquillo, poco distante dall’argine. La nebbia ottenebra tutto ed i vacui aloni delle lucerne ad olio delle vie principali si riflettono nella foschia e proiettano ombre macabre lungo il viale. Il fiume manco si vede…anzi, non solo quello, invero si vede po’ che niente, e men che meno si sente qualcosa. E’ tutto silenzio.
L’eco di dodici rintocchi e mezzo rompe la quiete, e la sagoma scura del ponte sfonda la morbida bambagia nebbiosa ed appare sfocata lì davanti.

Mi sistemo dietro le botti marce dei pescatori, tra le nasse rotte e le reti fraide che sanno di pesce marcio. Il mantello scuro mi rende come il resto, uno scadente ammasso di utensili da riparare. E attendo.
Ti scappa sempre da pisciare quando aspetti…oh! puoi avere anche diec’anni d’esperienza in agguati e missioni omicide e comunque, quando te ne stai nascosto ci hai bisogno di mingere che manco avessi bevuto un otre! Boialadra, me la faccio nelle brache, maledetto vinaccio acido annacquato!
Canta la civetta.
Bell’animale. Simpatico, allegro, sfigato…un po’ mi ci riconosco. Tutti pensano che porti sfortuna ma lei fa quello che fanno tutte le creature notturne, sopravvivono uccidendo ciò che schifa agli altri animali, sorci, rane, cavallette, sì che di giorno al sole tutto sia più bello. Un po’ quello che facciamo noi mercenari. Uccidiamo di notte, togliamo di mezzo quello che schifa ai messi bene, così che di giorno sia un mondo più pulito mentre lo sanno i pesci e i vermi cosa è successo. E lo sappiamo anche noi…noi che per il soldo facciamo ciò che rende felice i pochi che possono permettersi di rendere la loro vita migliore, mente gli sfigati, quelli che faticano nelle cave, loro chi se ne importa se muoiono o vengono ammazzati. Chi se ne importa di quello che sfondi nella corazza per prendere Faneria o di quello che sgozzi per arrivare ad ammainare lo stendardo di Piumabella. Chi se ne importa di noialtri.
No, chi ci ha il soldo ci da foraggio, come fieno a mungane che allora brucano senza farsi domande e brucano e basta…Suona un rintocco. E’ l’ora.
Fa freddo.
E’ umido.
Boialadra! basta prendere ‘sti incarichi notturni, meglio il fegato gonfio dall’alcol rancido della bettola che il dolore degli ossi per la ruggine delle giunture, ma che che boia….ecco i passi! Lui, sicuro!
E se non è lui, va bene lo stesso: posto sbagliato momento sbagliato!
La sagoma esile appare nell’umida torbida arancione delle lucerne lontane.
Gli balzo addosso da dietro, il coltello, svelto, premuto alla gola.
Non sono una merda mi ci assicuro che sia quello giusto, tanto non mi vede in faccia.
“Ti scopi la Gioia?”
Lui non risponde, è agghiacciato. Gli scorro lento il rasoio sulla gola da far stillare il sangue e sentire quel dolore piccolo e acuto come quanto ti tagli con la carta i polpastrelli, ma sulla gola. Ripeto la domanda, risponde affannato.
“Si! si, dioboni si! Scusa! Non lo faccio più! Lei…lei mi vuole bene! Mi racconta le cose che gli fa l’altro, quello che la vuole solo per lui…gli son d’aiuto…no no non l’ho fatto apposta….”
Si dilunga in scuse. Racconta, solite storie della gente alta: lui ha i soldi, la sevizia, vecchio, bavoso, lei giovane e bella, fragile, strappata di forza per sodalizio d’affari tra magnaccia…di quelle storie da racconti davanti al fuoco dove poi arriva il cavaliere, uccide il mostro e libera il suo vero amore.
Ma lui è un garzone di bottega. Semplice, umile, giovane, idiota. Non avvezzo alle armi ma solo alla farina e al massimo alla pala. E io ci ho già metà dei soldi in scarsella.
Prega, supplica, si piscia addosso ma tanto chissene, anche io l’ho fatto prima.
Lui lo fa per amore vero ché Gioia è una gioia per il cuore. Smielato? si, troppo. Mi ricorda quando ero davvero un milites ed amavo lei da impazzire. Al fronte ci andavo per mettere il gruzzolo da parte per sposarci e trovare un posto migliore in cui vivere. Poi lei lo ha trovato il posto migliore. Con un altro.
“Ehi mezzasega” gli dico “Ohi?!”.
Gli mollo uno scossone, lo libero, gli punto la lama al petto ché non fugga via.
Il riverbero cela i nostri volti, i suoi occhi terrei si vedono anche al buio, come i cavalli quando schiumano e ci hanno il bianco delle orbite che lo vedi a miglia di distanza.
“Te ora mi stai a sentire, ché sei bravo e giovane e che forse ci hai un po’ di speranza a sta merda di vita. Basta ascoltarti la verga! Ascolta invece la testa! Lei ci ha il soldo, te no. Te ci hai solo che sei bello e il pistello che funziona, ma te sei un fornaio e manco un ferraio che può averci carriera. Te sei solo il sollazzo. Sei giovane e puoi farcela a crescere meglio. Solo che non stare dietro a quello che non puoi raggiungere perché quello che non è la tua strada non t’appartiene e ti spolpa nelle energie e alla fine arrivi spento e poi lei ti molla perché le tue braci non ardono più, capito!?”
Lui pare annuire, affanna, ma ascolta. Proseguo.
“E allora ascoltami, io non t’ammazzo. Non lo so perché, però te sei bravo, lo vedo. Sei come tutti noi, caduto nel tranello della puledra bella e disponibile. E io ti lascio andare solo se mi giuri qui ora, sulla tua vita, che di retta la testa e non il tuo arnese da ora in avanti.”
“ma io l’a…” balbetta incerto.
“E no cazzo!” l’interrompo lesto “così non ci siamo! Sta zitto! Te sei ‘nnamorato della sua buchetta umida ché adesso siete giovani, ma poi lei è di alta classe e vuole chi ci ha il maniero e adesso solo il vigore della trasgressione. Trova il tesoro in chi ti vede prezioso nelle manate di farina sulla pagnotta. Fai la gavetta e apri un tuo mulino se ti piace, e allora lì sarai ricco di grano e pane e di chi ti vuole per ciò che te sei davvero!”
Il respiro si fa meno affannoso. Vado al sodo.
“Adesso senti: il tuo lavoro è fare il fornaio. Il mio è ammazzare, ammazzare te!”
Lui, allarmato, tenta la fuga ma io gli stringo svelto la camisa umida di nebbia e sudore freddo.

“Statti buono e sitto! Non t’ammazzo, ma siccome sei nella merda tocca che ci accordiamo”
Svelto gli afferro la mano e la lama rasoio gli trancia il dito medio, di quello che aveva il dono anulare di lei. Soffoco l’urlo col guanto, lo stringo, l’arto leso sulla camisa ché si tinga del sangue.
“Ci è un prezzo da pagare per ogni stronzata. Questo è il tuo…con qualche omaggio. Ora sparisci, lasciami la tua camicia sporca che mi serve da prova insieme al tuo pezzo, Tanto te sei giovane e il freddo ti fa un baffo”.
Si cava la veste, io avvolgo il moncone negli stracci e armeggio nella scarsella.
“Tieni questi, si prendili e non rompere la cippa e sparisci da qui”.
Gli metto tre soldi nella mano sana e con una pacca sul culo lo mando via.
“Vai mezzasega, scappa e vedi di non farti più vedere qui ché se ti rivedono domattina, prima ammazzano te e poi me, ma se questo succede, ad ammazzarti prima, quello son io”.
Lui si getta nella nebbia. Io mi gratto il culo. La civetta lancia un altro richiamo.
Stasera ho perso tre soldi. Domani, se riesco a puntare il dito sulla situazione, ne piglio quattro…ho un soldo di margine incerto. Godiamoci la sorte: mezza fiasca di vino in taverna chiacchierando con Bella sono una giusta ricompensa.

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