martedì 27 dicembre 2011

Lento arrancare


Visto che ora ho un blog anche io, faccio un re-editing di un breve e intenso racconto che scrissi due anni or sono ispirato dall’ambientazione di Tristano di Alessandro Forlani: un cupo quadro familiare in una casa di contadini “altrove nel Regno”.


MONOTONO LENTO ARRANCARE



Mi fanno male le gambe.
Dolori relitti d'una giornata di duro lavoro, lo stesso, da anni zappare monotono lento arrancare nella vana speranza che la terra sterile e stanca dia frutti migliori dell'anno passato.
Mi siedo, merda la schiena! Duole anch'essa. Ventitre anni già vecchio.
Dentro un marcio che cresce ogni giorno in cui vivo respiro mangio dormo lavoro in questa merda di Paese.
La porta si apre di botto.
Alzo lo sguardo con gesto flemmatico monotono lento di chi già s'aspetta cosa accada. Entra sbuffando mio fratello che ha appena riposto i suoi attrezzi nella baracca.
Tredici anni, un vecchio anche lui.
Prende la fiasca di vino dalla dispensa. Sbuffando la posa con leggerezza di bue sul tavolo al mio fianco.
Strascica una sedia imprecando. Ha voce da bambino ma di bestemmie ne sa già quante un soldato. Cazzo, se nostra madre fosse ancora viva gliele darebbe in quella crapa vuota, ma tanto, con lui è come coi Potenti, non serve a nulla incazzarsi, tanto continuano sempre su quella merdosa strada.
Prendo la fiasca trangugio un sorso... che schifo! E' aceto! Mio fratello ne beve un po', ingoia con una smorfia, fa schifo anche a lui. Gli brucia la gola. Per il vino buono ci vuole l'uva buona, le botti nuove e tanta dedizione. Ma tanto a che serve fare il il vino buono: te lo bevi, poi ne offri un sorso agli amici che alla fine sono avidi e invidiosi come tutti e così la voce si sparge “quel è ‘l vin bon” e te lo comprano magari, e ci fai i soldi magari, ma poi vien fuori che una Becera viene a sapere la storia e quelle vecchie vacche dalla figa più acida di 'sto cazzo di vinaccio spifferano agli Avvilenti e ben presto ti ritrovi senza nulla.
Il vino è rancido, fa nulla, l'importante è che ci si possa far la sbornia.
Mio fratello rutta, alza lo guardo, i suoi occhi sono lucidi, è già ebbro.
Mi alzo dalla sedia per cercare qualcosa da metter sotto i denti. Niente, la dispensa è vuota porcatroia, un'altra sera senza cena.
Torno al tavolo.
Mio fratello, con goffi movimenti, infila la mano in tasca e tira fuori i dadi. Lo sa che è proibito, è per questo che ci gioca.
Puntiamo tre sassi a testa che di soldi non ce n'è. Lancio i dadi, vinco, che culo. Mi si affaccia uno spiraglio di gioia, un pensiero, magari la fortuna ha preso a girar dalla mia parte, magari quest'anno il raccolto sarà buono e così ci faccio un pò di soldi e ci compro la boticciola per fare il vino quello buono così lo vendo e ci tiriam su da tutta 'sta merda di vita e magari... No, non si può! Lo dicono sempre Loro, non si può! Tiro i dadi ancora una volta, perdo.
Meglio così.
Monotono   lento   arrancare.


Alessandro Allegrucci

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