sabato 24 dicembre 2011

Blaster Worm 22

 

I

La sega circolare tranciò di netto la gamba ma anziché carne, sangue e ossa, l’amputazione rivelò un’accozzaglia di ferri, ingranaggi e tubi da cui pompavano liquami oleosi che s’espandevano in una chiazza sul pavimento.
Un braccio robotico con una lama ricurva e aghi sonda apparve in prossimità del capo e iniziò ad aprire il cranio…

…Riders on the storm
Riders on the storm
Into this house we're born
Into this world we're thrown
Like a dog without a bone
And actor out on loan
Riders on the storm…

La neurosveglia quella mattina trasmetteva i Rolling Stones. Era curioso sentire come andassero ancora di moda le canzoni di Mick Jagger dopo più di un secolo dalla sua scomparsa.
Albert si riprese dall’incubo e con un grugnito spense il trasmettitore psichico e attivò l’oloradio che come tutte le mattine trasmetteva il notiziario. La cordiale voce di Steve Van Leeuwen dava il buongiorno con rincuoranti notizie riguardanti le recenti sconfitte delle truppe gliesane e l’incontro fra i vertici della Terra e quelli di Kepler.
Smantellato un altro centro d’assemblaggio robot clandestino a sud di Rotterdam. Più di trenta i cyborg arrestati che sono stati poi interrogati dal N.A.R. ed infine inviati al centro di deassemblamento e smaltimento cibernetico.
Cazzo che notizia! pensò Albert trenta cyborg!…seh…al massimo quattro, si e no, quelli operativi, gli altri...un ammasso di rottami arrugginiti. Lui in quel centro a Rotterdam c’era stato, come agente operativo del N.A.R. del quale faceva parte da più di dieci anni. Lui, come tutti, odiava i robot dopo la Ribellione, e come centinaia di altri suoi coetanei aveva fatto domanda di arruolamento al Nucleo Anti-Robot che operava per il controllo della diffusione di androidi.
Albert si alzò dal letto e l’oloradio seguì l’uomo mentre si spostava per l’appartamento proiettando sullo schermo virtuale il volto sorridente del giornalista.
“Caffelatte e brioches”
“Si signore” la risposta meccanica dell’Homhelper3000 confermò che il comando vocale era stato recepito prontamente .
Albert si sedette al tavolo proprio mentre al centro di questo s’apriva il distributore alimentare da cui apparve il cabaret con l’ordinazione.
Vivere ogni giorno nell’ironia d’aver paura di ciò di cui non si può fare a meno rifletté fra sé l’uomo mentre addentava il croissant solo perché ad un certo punto gli abbiamo iniziati a progettare a nostra immagine e programmati per autoassemblarsi e prendere coscienza di sé, e solo per levarci il lavoro sporco di dosso...ed ora li temiamo. Bella storia.
Trangugiò il caffelatte. Buono.

Mezz’ora dopo Albert era seduto sul jetrain che sfrecciava diretto verso la centrale del N.A.R.
La linea percorreva il terzo livello della città, quello più sgombro di edifici e dagli oblò del razzo si potevano ammirare le cupole dei palazzi stagliarsi contro l’azzurro artificiale della capsula che ricopriva la città. Quel giorno il Servizio Meteorologico aveva deciso per bel tempo.
Più in basso il Secondo Livello, o livello Terra, era un intricato dedalo di case, casupole, megacondomini e piani bassi dei palazzi in cui si svolgeva la maggior parte delle attività cittadine mentre ancora più sotto, nel sub-livello, s’accumulavano come in una fogna gli escrementi della società. Il livello sotterraneo era pieno delle baracche dei reietti, dei non-umani, dei disoccupati e dei criminali. Ma era anche il livello in cui l’economia girava meglio: narcotraffico, cybertraffico, prostituzione interplanetaria, mercato di organi umani e non umani, tratta di schiavi e arruolamento mercenari.
Ed era il livello in cui si rifugiavano gli androidi.
Perciò Albert conosceva bene le abitudini, il gergo e il modo di fare di quella gente, e in fondo non gli dispiaceva troppo frequentare quel posto così alternativo e stimolante se non fosse che ogni tanto si finiva per essere il bersaglio di qualche pistola a schegge o il pungiball di qualche ruffiano arturiano.

*  *  *

“Ehi, Al, Al!”
L’agente Peter de Vries si fece incontro ad Albert mentre questi tentava di raggiungere il suo ufficio e gli si parò davanti col volto grasso reso umido e paonazzo dall’emozione.
“Buongiorno Pet, cos’è ‘sta foga, t’hanno teletrasportato via la moglie?”
“No Al, guarda qui, pezzo originale del 2011”
Gli mostrò un vecchio cellulare, un pezzo d’antiquariato, simile ai molti altri che andavano di moda in quegli anni. Albert non si capacitava del perché la gente fosse disposta a spendere tanti soldi per un aggeggio così inutile: non effettuava chiamate interplan e non aveva transfer olografici. Inutile!
Ma a Peter piacevano, li collezionava da un sacco di tempo e ne aveva tantissimi “un Samsung B7722 Star Duos dual SIM, touchscreen, Wi..”
“Ehi Pet, lo sai che non me ne frega niente! E tienimelo lontano! Quei cosi mi fanno venire l’emicrania. A me e al capo, che se te lo vede te lo sequestra!”
“Venire l’emicrania…te lo sequestra..” lo canzonò Peter “tu e il capo non apprezzate l’arte tecnologica di inizio millennio, avevano un design accattivante!” rimbeccò offeso.
“Prima o poi quei cosi ti rivolteranno il cervello, Pet” rispose Albert “e io sono troppo affezionato a te perché mi assegnino un altro collega”.
“‘Giorno Al” Lucinda s’affacciò al box sventolando un mazzo di scartoffie “ho una chicca mattutina per te” disse facendo l’occhiolino.
“Fammi indovinare? Un’ altro pazzo vagabondo che dice d’essere un robot?”
Lucinda gli porse le schede con un sorriso complice. E’ sempre bellissima pensò Albert e non è invecchiata di un anno da quando la conosco. Come me del resto rifletté non senza provare un pizzico d’orgoglio. Effettivamente Albert portava bene i suoi cinquant’anni, così come Lucinda portava bene i suoi quarantacinque. Aveva ancora la pelle liscia e candida come quella d’una ventenne. Sicuramente merito delle creme rigeneranti per lei…e dei buoni geni per me si disse Albert ringalluzzendo ancora il suo ego.
“Spiacete di deluderla agente Brouwer ma questo è un caso serio” lo rimproverò Lucinda dandogli una lieve pacca sulla spalla. Un fremito percorse la schiena di Albert che non rispose alla provocazione. Chissà perché, quando Lucinda lo toccava o gli stava semplicemente accanto lui si sentiva strano, come se una calamita dello stesso polo lo spingesse oltre il suo campo magnetico.
“Grazie Lucy, gli darò subito un’occhiata” interloquì serio Albert.
Lucinda spense il sorriso vedendo la serietà dell’uomo e usci dal box.
“Quella femmina è una bomba sexy!” s’intromise Peter quando fu certo che Lucinda fosse abbastanza lontana da non sentirlo.
“Peter, sei sposato” lo riprese Albert.
“Ehi, mi basta una moglie bisbetica a casa, non me ne serve un’altra bigotta in ufficio!”
Albert lo ignorò prese ad analizzare il rapporto “Segnalazione di sospetto androide” a nome di Karl Dijkstra”. Almeno l’intestazione della cartella non era cosa nuova. Spargendo i fogli del rapporto sulla scrivania Albert prese quello relativo al sospettato Valten Dekken uomo bianco trentenne capelli biondi Osakastraat Rotterdam Noord-Wets Distretto 413. La denuncia riportava che il Sig. Dijkstra segnalava rumori molesti provenienti dall’appartamento adiacente, quello di Valten, e che il ragazzo aveva la strana abitudine di accogliere figure poco raccomandabili e dall’aspetto troppo abbiente per il suo status in piena notte. Inoltre il Sig. Dijkstra puntualizzava che il suo multivisor , come pure quelli degli altri vicini, avevano cominciato a perdere il segnale da quando Valten era venuto ad abitare nel loro condominio. In ultimo veniva sottolineato anche che il sig. Dekken non rispondeva mai ai cordiali saluti che il Sig. Dijkstra non mancava di porgere quando si incontravano.
“Va bene Peter, credo che per oggi ti salverò dai veleni che ti cucina tua moglie e ti inviterò a una romantica ispezione”.
“Al, è sempre un piacere giocare a guardia e robot con te” ammiccò Peter.
Entrambi si diressero verso il magazzino del dipartimento per equipaggiarsi con le corazze antischegge e le pistole a ioni poi, dato che il mandato di perquisizione era già pronto, presero uno degli hovercraft della N.A.R. e s’avviarono per le strade del livello Terra diretti al Distretto 413.


II

L’edificio era il classico complesso del 2080 con piccoli appartamenti accatastati uno accanto all’altro in modo da sfruttare ogni minimo lembo di superficie abitabile. Le finestre assenti ai piani inferiori erano state sostituite dai più funzionali pannelli olografici filtranti che all’interno proiettavano le immagini dei bei panorami di Saturno o di Urano e all’esterno fungevano da filtro per le polveri sottili inquinanti che avvelenavano l’aria del livello Terra.
Condutture del ricircolo dell’aria e ascensori aspiranti decoravano con linee geometriche le altrimenti spoglie e lugubri pareti del condominio.
Gli agenti accostarono l’hovercraft vicino a un distributore automatico di ciambelle venusiane e si avviarono verso il palazzo mentre il robot parcheggiatore collocava l’auto al secondo ripiano del posteggio veicoli.
Il livello Terra brulicava di attività: centinaia di negozi, bistrò, bar, cambiavalute, agenzie stellari s’aprivano sui megamarciapiedi percorsi da migliaia di persone a qualunque ora del giorno. Le insegne pubblicitarie di locali e casinò brillavano sopra i camminamenti e proiezioni tridimensionali di agenti pubblicitari comparivano fra la folla per promuovere prodotti alimentari, cosmetici o accessori tecnologici.
I due agenti si unirono al denso flusso di pedoni che attraversavano la strada mentre i deflettori di traffico permettevano ai veicoli di continuare a transitare deviando la loro traiettoria in una curva parabolica sopra le teste dei passanti indifferenti.
Arrivati all’ingresso della palazzina s’avvicinarono all’ascensore aspirante.
“Valten Dekken, decimo piano corridoio sette A”
Immediatamente il flusso d’aria pressurizzata aspirò i colleghi trasportandoli fino alla loro destinazione.
Il corridoio era sobrio  e nonostante avesse la stessa età del complesso si presentava in buono stato con le pareti dipinte di recente, probabilmente merito delle insistenti pressioni del pedante Sig. Dijkstra riguardo il decoro condominiale. Deve essere una vera piaga per tutti gli abitanti del suo stessp piano pensò Albert mentre procedeva a passo svelto tenendo d’occhio il numero civico affisso sopra le porte uguali e simmetriche dell’androne.
“Eccoci qui” disse Peter “ventidue corridoio sette A, Valten Dekkan”
“Abbassa la voce Pet! E attacca il breaker!”
“Al, sei nervoso?” lo interrogo Peter mentre estraeva dalla tasca il piccolo marchingegno esplosivo. Fece per applicarlo sopra la serratura ma poi si fermò voltandosi verso il compagno “e se non c’è?”
“Vorrà dire che daremo un’occhiata in giro!”
“E gli lasciamo scassinata la porta?”
“Da quando ti fai tutti ‘sti scrupoli verso un sospetto robot, de Vries?! Attacca la mina e basta!”
Peter abbassò lo sguardo e attivò il breaker poi entrambe si misero schiena al muro in attesa dello scoppio.
La mina lampeggiò tre volte poi, con una piccola detonazione, scardinò la serratura.
In un istante Albert divelse la porta con un calcio ed entrò nell’abitazione con la pistola ionica puntata. Peter dietro di lui fece le presentazioni “Agenti N.A.R., vieni fuori senza opporre resistenza! Questo è un semplice controllo!”.

*  *  *

Nessuno rispose. L’appartamento era bene in ordine con la sala spoglia di ornamenti e mobili tranne che per un grande monitor e un divano
Albert fece cenno a Peter di ispezionare l’altra stanza e il collega si mosse all’erta verso la seconda camera.
Valten era lì, seduto dietro la scrivania con la schiena rivolta verso l’agente e il volto nascosto da capelli biondi lunghi ben curati. Non si mosse così Peter si avvicino tenendo sempre puntata la pistola.
“Valten Dekken, sei sotto arresto per essere sottoposto ad accertamenti riguardo la tua sospetta natura robotica. Sei pregato di non porre resistenza e di non…” l’agente rimase di stucco vedendo che sulla scrivania era adagiata la maschera d’un volto umano accanto a barattoli di vernici e silicone similpelle e mentre Peter restava impietrito per l’incredulità, Valten si voltò mostrando il suo teschio metallico su cui erano incastrati i bulbi artificiali di due occhi umani.
L’agente ebbe la prontezza di gettarsi di lato prima che l’impulso sonico della pistola di Valten lo colpisse. Peccato che Albert non se ne accorse dato che la stazza del compagno ne impediva la visuale e venne centrato in pieno petto dall’onda d’urto che lo scaraventò a terra.
Valten scattò fulmineo verso l’uscita e Peter non fu abbastanza svelto da bloccarlo. Albert invece si riprese subito dal violento impatto e si gettò di petto su droide. Il tremendo urto rovinò a terra entrambe e i due si ritrovarono faccia a faccia per un lungo istante.
“Sei…perfetto!” sussurrò il viso robotico di Valten mentre i suoi occhi scrutavano frenetici l’agente.
Albert non rispose. Il corpo del robot adagiato su di lui non era duro, spigoloso o freddo; era morbido, come di pelle, grasso e muscoli. Non avrebbe mai detto appartenesse a un androide se non fosse stato per il teschio bionico che lo fissava intensamente.
La testa gli iniziò a pulsare violentemente e costrinse Albert ad abbassare lo sguardo. Nello stesso momento Valten balzò in piedi diretto con uno scatto verso l’uscita intenzionato a fuggire.
Il suo corpo meccanico venne catapultato oltre l’uscio quando il raggio ionico lo investì alle spalle.
Peter lo puntava da parecchio e il vapore che si levava dalla canna dell’arma indicava che il colpo era stato sparato a piena intensità.
“Tutto bene Al? Scusa, non ho tirato prima perché temevo di colpirti” disse Peter mentre porgeva la mano al collega.
Albert si rialzò da solo massaggiandosi le tempie: “Si Pet, grazie, sto bene”…a parte la tremenda emicrania…
“Vecchio Brouwer, sei duro come l’acciaio! un colpo in pieno petto e nessun acciacco”.
“Già” lo stesso Albert era rimasto stupito dalla sua resistenza. Non era la prima volta che si prendeva pallottole, raggi, cazzotti eppure un colpo in pieno petto come quello, seppur attutito dal giaccone, beh! di certo avrebbe regalato una bottiglia di pregiato whiskj alfano al suo personal trainer.
“Nulla di straordinario” aggiunse sorridendo a Peter.
Si voltò a vedere il corpo steso a terra di Valten: “Tu piuttosto, davvero un bel tiro! L’hai fatto secco!”
“Un colpo facile” rispose Peter celando a fatica l’imbarazzo per il complimento.
“Guarda un po’ che roba!” Albert si chinò sul cadavere e osservò con incredulo ribrezzo l’intreccio di circuiti cavi protesi metalliche che si aprivano sullo squarcio che il colpo della pistola ionica aveva provocato sulla schiena del robot. Dalla lacerazione balenavano piccole saette di elettricità mentre fluidi viscosi verdastri s’allargavano in una pozza inzuppando gli abiti del robot distrutto.
Il volto di Valten era grottesco senza la maschera al silicone che ne nascondeva la vera natura. I suoi occhi, privi di palpebre fissavano il vuoto mentre la luce azzurrognola emessa dal cervello positronico andava scemando finché non si spense del tutto.
“Beh! Caso risolto, dunque” sbottò Peter.
“Direi di si Pet, chiamo la squadra smaltimento e andiamo a farci una birra”
Albert prese il suo microproiettore olografico e contattò la squadra addetta al prelievo androidi. La testa gli doleva terribilmente ed era certo che la colpa quel malessere era in qualche modo di quel droide che ora giaceva spento accanto a lui.

III

Le pianure di Marte si stendevano a perdita d’occhio e i venti solari spazzavano il deserto rosso.
Albert stava lì solo nudo in mezzo a quella desolazione.
Improvvisamente davanti a lui apparve Valten. Il suo viso metallico lo fissava intensamente.
Rimasero così, uno di fronte all’altro, guardandosi senza dirsi nulla.
Poi Valten gli porse la mano.
“Fratello” sussurrò il robot.
Albert non capiva. Gli strinse la mano e vide che il suo braccio non aveva carne ma solo in insieme di ossa d’acciaio, cavi e ingranaggi.
Spaventato indietreggiò d’un passo.
Valten continuava a fissarlo immobile “Vedi te stesso” gli urlò.
Albert si guardò di nuovo il braccio muovendo quelle dita di ferro e poi s’accorse che anche l’altro arto, come pure le gambe e tutto il resto corpo non erano altro che parti bioniche unite da articolazioni metalliche fra le quali una fitta rete di capillari plastici e fibre ottiche pulsavano icori e impulsi elettrici.
Albert esplose in un grido di terrore.
E cadde dal letto.
Un sogno…solo un sogno…Albert si svegliò avvolto tra le coperte col respiro affannato e il corpo scosso da tremiti. La testa non gli aveva mai smesso di pulsare.
Era sconvolto.
Si tasto il corpo come a voler trovare lo spigolo, il ferro, il freddo dell’acciaio sotto la cute. Allora diresse verso la cucina. Serve aiuto Signore? Ignorò la richiesta dell’Homehelper3000 e aprì il cassetto dei coltelli brandendo con determinazione una delle lame e portandosela sulla coscia.
Sei un idiota Albert! Vuoi finire in ospedale per un sogno? Oppure in manicomio quando gli spiegherai il perché del tuo gesto da imbecille?
Attese un momento poi si premette la lama sul palmo della mano. Doveva farlo o sarebbe impazzito…più di quello quanto già lo fosse in quel momento.
Il coltello incise la carne aprendo un taglio nella turgida cute. Albert ritrasse la mano con un sussulto e poi se la guardò. Sono un cacasotto. Il taglio era superficiale ma profondo quanto basta affinché un rivolo di sangue capillare sgorgasse dalla lacerazione.
Albert gettò a terra il coltello con un sospiro poi andò sfinito in bagno a mettersi un cerotto.

*  *  *

Al dipartimento lo accolse sorridente Lucinda. Quel giorno aveva la capigliatura tinta d’un blu di Venus che le donava un’aria formale ma briosa.
“Ciao Al, come va? Ho saputo che ti sei becc…”
“Visser è in ufficio?” la interruppe bruscamente Albert.
“Si caro, il Comandante è in ufficio…ma ti senti bene?”
Albert si scostò impassibile dalla scrivania della collega e si diresse a grandi passi verso l’ufficio del Capitano Visser. Lo trovò dietro lo screentable intento a visionare alcuni rapporti fra i quali, notò Albert, quello su Dekkan.
“Buongiorno agente Brouwer, come va?”
“’Giorno capo, bene grazie”
“Ho saputo che ti sei preso una ionizzata in pieno petto”
“Si..beh…mi sono ripreso abbastanza bene”
“A vederti non si direbbe. Hai una faccia terribile. Comunque, che c’è?” chiese Visser tornando a visionare lo schermo virtuale.
“Vede Comandante…” Albert tentennava. Si rendeva conto che la sua richiesta era anomala e prima di fondamento. Attese solo un attimo, il tempo necessario per decidere d’andare fino in fondo e perché il superiore tornasse a guardarlo “…vorrei consultare il mio schedario sanitario in archivio”.
Visser non rispose ma si mise a sedere incrociando le dita “Per quale motivo, Albert? Lo sai che non sono autorizzato ad aprire gli archivi personali se non per motivi urgenti”
“si capo, lo so ma vede…dopo l’azione contro Valten..beh…non me la passo tanto bene…”
“Capisco” Visser lo fissava intensamente, poi sospirando gli disse: “Ok, Albert, vedrò cosa posso fare. Nel frattempo, prenditi un paio di giorni di riposo, ok?”
“Grazie Comandante”
“Figurati, vai a casa e rilassati. Peter saprà cavarsela comunque” lo rassicurò.
Albert abbozzò un sorriso di rimando e ringraziò il superiore.
Il Comandante restò fermo a osservarlo finché l’agente non fu fuori dell’ufficio, poi rimise in ordine i rapporti su cui lavorava e si sporse verso il comunicatore interno.
“Lucy, il Commissario tecnico per favore”
“Subito capo”
Dopo una breve attesa Visser udì la voce del Commissario rispondergli all’apparecchio.
“Commissario, abbiamo un Blaster Worm su RAC001B, prendi provvedimenti!”
“Si Comandante” la voce di de Vries rispecchiava la fermezza di chi sa come agire.
Visser si adagiò sulla poltrona. Peccato. Si accese un virtualsigaro e restò contemplarne la proiezione tridimensionale del denso fumo che ne scaturiva.

Albert sognò di nuovo, con maggiore intensità e quando si svegliò di soprassalto, ebbe solo il tempo di vedere su di lui il volto di Peter e di altri suoi due colleghi del N.A.R. prima di piombare ancora nell’oblio accompagnato dall’intenso dolore del neurostorditore.


IV

Riprese conoscenza colpito dall’intenso fascio luminoso che lo puntava in faccia.
Gli faceva male ogni parte del corpo e quando tentò di rialzarsi senti subito la resistenza dei lacci magnetici che lo inchiodavano al tavolo su cui era steso.
Ma che cazzo…dove sono? Sembrava una sala operatoria. Attorno a lui tavoli su cui stavano numerosi attrezzi meccanici di alta tecnologia e braccia meccaniche terminanti con strumenti di microchirurgia. Ebbe un sussulto quando noto che accatastati agli angoli vi erano arti meccanici, toraci, mezzibusti e varie parti di robot di diversi modelli, dai più arcaici con carapace metallico, ai più moderni rivestiti di pelle al silicone.
Questo è settore di deassemblamento robotica! intuì allarmato l’uomo.
Il sibilo d’una porta pressurizzata che s’apriva lo distolse dai suoi pensieri.
“Ciao Albert” Visser gli camminò davanti.
Albert provò un certo sollievo nel vedere il volto disteso del suo superiore “Capo! Che succede! Perché sono qui!?”
“Non sai quanto mi dispiaccia Albert ma c’è stato un malfunzionamento nel tuo software positronico. Insomma…” Visser distolse lo sguardo da quello incredulo dell’agente mentre cercava le parole giuste “…sei infetto!”
“Cosa…ma che cazzo sta dicendo?!” la sensazione confortevole avvertita da Albert alla vista del capo svanì nell’udire quell’affermazione.
“Albert, sei un robot! E hai contratto un Blaster virus, un resettatore!”
La realtà gli crollò addosso pesantemente.
Albert ebbe un attimo di esitazione, poi rielaborò l’affermazione di Visser. E fu sconvolto.
Non è possibile non è possibile non è possibile “Non è possibile! Non può essere vero!” urlò l’agente “E’ una insulsa diffamazione! E’ una follia!”
Visser lo fissava impassibile attendendo che l’agente si sfogasse poi riprese “Sono sconvolto quanto te, per l’infezione si intende. Riguardo la tua natura, ne sono al corrente perché ti ho programmato io”.
“Ci deve essere stato un malinteso, un errore nel sistema di indagine!” sbottò Albert terrorizzato
“No, nessun errore. Tutto regolare…” il Comandante si avvicinò al volto dell’agente “…e reale!” si allontanò di qualche passo e si sedette sulla sedia che si trovava vicino al tavolo.
“Vedi, ne sono così sicuro, amico mio…” e mentre parlava Visser si premette il dito dietro l’orecchio “…perché anche io sono un robot”. Sul volto gli comparve una linea perimetrale dalla quale si levò un lieve sbuffo di vapore prima che questa si staccasse completamente dalla faccia del droide che provvide a togliere la maschera dai supporti rimanendo a guardare Albert con il teschio metallico scoperto e illuminato dalla luce del cervello positronico in esso contenuto.
Impossibile impossibile impossibile! Albert non si capacitava di nulla: nausea stordimento rabbia paura si mescolavano in lui lasciandolo incapace di agire e parlare.
“Lascia che ti rimuova definitivamente i filtri di memoria Albert, o per meglio dire, RAC001B, perché questo è il tuo vero nome, e sai cosa vuol dire?”
RAC001B…robot Agente di Controllo numero uno, Brouwer…lo so, merda, lo so!
“Si che lo sai” continuò Visser “così come sai il mio vero nome, RPS087V, Robot di Programmazione e Supervisione numero ottantasette, Visser”.
“Vedi, Albert, noi androidi siamo ovunque, in ogni angolo della società umana, in ogni livello delle città. E lo siamo da molti anni. Teniamo d’occhio gli umani evitandone una congestione sociale, un sovrappopolamento, un degrado. Facciamo il lavoro per cui siamo stati creati e programmati: aiutare l’uomo a vivere bene!” Visser, seppur col volto robotico privo d’emozioni, manifestava un palese senso di soddisfazione nell’elogiare il lavoro dei suoi simili. “La maschera di terrore che abbiamo addosso, l’odio che l’uomo prova nei nostri confronti dietro cui cela il reverenziale timore verso il livello tecnologico e di autonomia che abbiamo raggiunto, ci consentono di adempiere meglio al nostro scopo perché ci obbligano a lavorare in incognita. Sai Albert, l’uomo sarà stato anche molto intelligente nel creare in nostri precursori, ma in fondo, è stupido, è semplice, è una macchina con una mete meno complessa della nostra. Basta inserire i giusti stimoli, o dati, ed ecco che l’uomo, nella sua inferiorità, li elabora traendo la conclusione più semplice e più vantaggiosa per preservare il proprio benessere. Fisico e mentale.
Per ciò ogni tanto procediamo all’arresto e allo smaltimento di qualche nostro simile difettoso o assemblato e programmato con l’unico scopo di farsi catturare, o di qualche ribelle ancora in circolazione, così da rasserenare la popolazione umana, farla sentire sicura, protetta da Autorità che la vogliono preservare e tutelare e contemporaneamente continuare a compiere il nostro dovere di robot nei confronti dell’umanità”.
“P..perchè io non sapevo nulla di tutto ciò” domandò allibito Albert.
“Amico mio, mi stupisci! Da agente infiltrato quale sei stato per tutti questi anni non sai che il miglior modo che ha una spia per tutelare se stessa e colui per la quale lavora è di essere al corrente esclusivamente delle informazioni che gli permettano di portare a termine solo i propri compiti restando invece all’oscuro di tutti gli altri aspetti del dipartimento? Con gli androidi è facile dato che basta programmarli apposta. Tu sei stato programmato per credere di essere un umano, sei stato programmato per odiare i robot, per odiare ciò che sei in realtà”
“Ma io..io mi sono tagliato e..e..è uscito del sangue! Io sono un uomo!” ribadì Albert tentando di aggrapparsi agli ultimi spiragli d’una speranza martoriata dall’evidenza.
“Effettivamente Albert tu più di chiunque altro robot potresti essere definito antroposimile. Sei stato il primo modello della nuova serie di agenti infiltrati. Androidi con una riproduzione anatomica del corpo umano perfetta! Pensa che siamo riusciti anche a riprodurre il tessuto sanguigno capillare sottocutaneo. Ecco perché quando ti sei tagliato è uscito del sangue, o per meglio dire, un liquido sintetico simile al sangue. Immagino che tu l’abbia fatto per verificare la tua natura umana dopo l’incontro con Valten, vero?”
“Si, si, facevo strani sogni, mi faceva male la testa dopo che abbiamo ucciso Valten” rispose nervosamente Albert.
“Come immaginavo” Visser si alzò e prese a camminare attorno al tavolo “Beh! Valten, o per meglio dire RAC625D era un vecchio modello di agente che lavorò per noi ma il suo sistema positronico andò in conflitto dopo che uccise per sbaglio un umano durante una colluttazione con un androide ribelle. Così il suo sistema generale si scollegò dalla nostra rete di controllo e iniziò a elaborare un differente database di azione verso gli umani. Insomma, non condivideva più il nostro modo di agire nei loro confronti. Così modificò alcuni software del suo cervello positronico ampliando e modificando i recettori in modo che qualunque altro robot interagisse con lui subisse gli effetti delle sue interferenze e sbloccasse i suoi filtri. In breve tempo scollegò quasi quaranta agenti. Era un pericolo considerando poi che prese contatto anche con alcuni androidi ribelli. Andava fermato al più preso, prima che gli uomini si accorgessero del cambiamento.” Il Comandante si fermò di nuovo davanti ad Albert. “E tu eri il più evoluto di noi. Non pensavamo certo che Valten avesse potenziato così tanto i suoi recettori.”
Visser fece una pausa continuando a fissare l’agente con il suo inespressivo volto bionico.
“Mi dispiace davvero Albert, ma sei stato infettato. E devi essere demolito. Addio Albert”.
Visser riprese la maschera e si diresse verso l’uscita.
Albert era terrorizzato “No, aspetta Visser, non sono infetto! Aspetta cazzo! Liberami!”
“Procedete” fu l’ultimo comando di Visser prima che la porta si chiudesse dietro di lui.
Albert gridava in modo straziante.

La sega circolare tranciò di netto la gamba ma anziché carne sangue e ossa l’amputazione rivelò un’accozzaglia di ferri ingranaggi e tubi da cui pompavano liquami oleosi che s’espandevano in una chiazza sul pavimento.
Un braccio robotico portante una lama ricurva e aghi sonda gli apparve in prossimità del capo e iniziò a aprirgli la testa…
Stavolta la neurosveglia non suonò.


Alessandro Allegrucci

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