martedì 20 dicembre 2011

Scorie




Prologo

Gli anfibi martoriavano la coltre intatta della neve.
I fiocchi già coprivano la capsula d’atterraggio e a un centinaio di yarde il profilo dei prefabbricati del Settore 83 si delineava nero contro il tenue bagliore della perenne alba polare.
La squadra si gettò spalle al muro non appena raggiunse lo stabile d’ingresso.
Kenneth estrasse una mina sonica dalla giberna e la premette con forza contro il pannello sigillato. “Defilarsi!”. Il fragore della detonazione fu assordante.
Il Sergente Baynes attese che i detriti dell’esplosione precipitassero e la coltre di polvere si diradasse poi impartì secco l’ordine “Avanzare!”. La sua voce profonda suonava ancor più ruvida quando trasmessa dal voxifer interno la chemiomaschera.
La squadra si mosse rapida oltrepassando le macerie. All’interno attivarono all’unisono i puntatori laser e i microriflettori. Dieci fasci di luce lacerarono l’oscurità perforando la flebile parete di polvere che si sollevava dal pavimento.
“Owen, contatta la nave” disse Baynes. Venti passi dietro Owen s’accovacciò e captò la frequenza della nave supporto “Indi Sierra, Indi Sierra qui è Fox Four”. L’attesa fu breve e la risposta chiara “Qui è Indi Sierra, vi riceviamo Fox Four” la trasmissione, gracchiante e secca, era pulita “Fox Four è entrato, ripeto, Fox Four è entrato” il tono di Owen, seppur marziale, era sollevato. “Ok Fox Four, attiviamo i termorecettori”.
Anche Baynes si sentì più sereno. Nonostante le radiazioni il segnale era libero da interferenze e udire la voce dell’operatore dell’incrociatore voleva dire poter contare sul supporto immediato di due dozzine di cannoni a ultraonde. Chiunque si sarebbe sentito con le spalle coperte.
La squadra riprese a muoversi.
I fasci luminosi illuminavano un edificio vuoto formato da un unico corridoio. Nonostante quella struttura avesse poco più di trent’anni, sembrava fosse lì, abbandonata, da più d’un secolo: le pareti, coperte di ruggine trasudavano spurghi oleosi. Qualche frattura lungo le tubazioni angolari gocciolava liquidi che a terra s’allargavano in pozze che riflettevano gli sfuggenti laser dei militari.
Il silenzio era rotto dal suono flebile e costante delle ventole d’inalazione e dal ritmo alternato dei respiratori.
Finora la situazione era stabile.


I

Quando i fasci luminosi illuminarono carcasse di maiali appese al soffitto il morale della Squadra Fox Four vacillò nonostante l’esperienza.
Il corridoio appena percorso terminava in una biforcazione. Il Sergente Baynes decise di ispezionare prima il settore sinistro così mosse i suoi uomini verso il nuovo andito che s’ apriva su un atrio all’interno del quale rapide scariche di elettricità fendevano il buio.
 “Kenneth, Mc Neil, avanti cauti”
I due uomini scattarono rapidi ma attenti all’ingresso dell’atrio.
Le torce s’accesero su carogne appese per i garretti posteriori al soffitto e sulle quali s’abbattevano frequenti scariche elettriche generate da alternatori infissi nella carne.
Baynes rimase freddato da quel macabro spettacolo, Owen represse un conato di vomito, gli altri immobili.
La flebile voce gracchiante di Kenneth al voxifer fece sussultare gli uomini: “Sembra tutto…tranquillo”.
Poi il fante si volò verso il Sergente col volto reso grottesco dalla chemiomaschera dai due grandi visori in corrispondenza degli occhi che lasciava comunque trapelare la preoccupazione del soldato: “Avanziamo?”
Baynes confermò con un cenno della testa e rapidamente impartì l’ordine di apertura a ventaglio.
La squadra si dispiegò nell’atrio incurante delle saette che si spegnevano contro le piastre del carapace. I fucili puntati e le dita tese sul grilletto. Ogni senso teso in allerta per captare il minimo cambiamento in quella situazione ambigua.
“Ci si potrebbe fare un bel barbecue, eh, Sergente?” il voxifer riprodusse le parole di Grant che si faceva largo fra gli avanzi animali impugnando il suo lanciafiamme.
“Vaffanculo Grant!” gli rispose Yassef, il medico, pieno di ribrezzo nonostante lui di lacerazioni e viscere ne aveva viste parecchie.
Baynes fece tacere entrambe.
Il suono sordo delle carcasse sulle corazze di polipropilcarbonio cadenzava l’avanzata degli uomini.
Baynes le osservava attento. Erano a centinaia, gli apparivano alla vista in ogni direzione distinguendosi dallo sfondo nero a mano mano che il puntatore le illuminava.
Sembrava essere in un macello, sembrava che quell’atrio fosse infinito.
Il Sergente notò che quelle carcasse di maiale erano connesse al soffitto con cavi e tubazioni entro cui scorreva qualcosa. Sulla carne, oltre agli alternatori di corrente, s’infilavano flebo, aghi e condutture oltre che presumibili rilevatori di stato che brillavano di spie luminose.

“Sergente…” era Grant.
“Grant, prima di sparare una cazzata conta fino a dieci e poi stai zitto”
“No Sergente…è una cosa seria…venga a vedere”
Baynes individuò la posizione di Grant dal sonar del visore e lo raggiunse prontamente.
Il commilitone stava davanti al ventre aperto d’una carogna tenendo la canna dell’arma abbassata al fianco.
“Grant, eccomi!” la vicinanza di Baynes scosse il soldato dai suoi pensieri e indicò al Sergente ciò che aveva visto.
All’interno del ventre dell’animale stava un’altra cosa.
Un altro essere dal volto umano rannicchiato fra le viscere putrescenti. Dal cranio si dipartivano i tubi al cui interno fluivano icori che alla luce apparivano d’un colore malsano.
La creatura pareva un feto umanoide ma gli arti, seppur raggomitolati sul piccolo ventre, erano costituiti da parti meccaniche e si dipartivano dal torace come protesi. Ferite non ancora cicatrizzate, segni di operazioni recenti di recisione mal ricuciti decoravano il torace. Sembrava quasi che quella cosa fosse un tentativo di umanizzare un corpo deforme mediante asportazioni, ricuciture, modellazioni, applicazioni.
Quelle carcasse erano substrati di coltura, grembi di gestazione per umanomacchine.


II

“Kenneth, Hortwood, mine incendiarie su ogni direzione”
“Si signore”
“Ricevuto”
Kenneth si spostò verso le estremità della sala zigzagando fra quegli artificiosi macabri grembi.
La scarica lo travolse in pieno.
Un lampo di luce azzurra sferzò d’improvviso il buio abbattendosi sul soldato che fu proiettato contro le carcasse e poi a terra.
La corazza di poliroprilcarbonio aveva per fortuna assorbito il colpo ma l’urto era stato tremendo.
La squadra s’allarmò a quel fracasso. Il rilevatore segnalava Kenneth a terra.
“Kenneth ci sei?” era Baynes.
Restò in attesa d’una risposta col cuore in gola.

“…si…ok” era la voce un po’ scossa di Kenneth.
“Ok ti raggiungiamo, Jassef con me. Hothwood, Wain, Grant tenete d’occhio il perimetro”
Raggiunto il ferito i compagni furono felici di constatare che non aveva ferite o fratture e l’aiutarono a rialzarsi.
“Cos’è stato?” chiese il Sergente.
“Non lo so…era un lampo…una scarica elettrica. M’ha beccato in pieno cazzo!”
“Era più forte di delle che c’erano quando siamo entrati qui dentro” osservò Jassef
“Pensi l’abbia generata qualcun altro?” interrogò Baynes
Kenneth era in confusione. Il colpo e l’umiliazione d’essersi fatto beccare alla sprovvista lo irritavano: “Non lo so ve l’ho detto, non ho visto nulla, ero girato quando…”
La stanza si riempì ancora del bagliore elettrico.
Stavolta, in risposta, colpi secchi di fucili.
“UMV ore tre! UMV a ore tre!” Wain comunicava con ‘intera squadra.
Gli uomini conversero verso la posizione di Wain. Si spostavano urtando quelle sacche d’aberrazioni che dondolavano inermi.
Wain gli apparve che sparava a raffica verso il buio. Avanti a lui le carogne incassavano i colpi, i tubi esplodevano, le carni si laceravano e le cose dentro il ventre s’animavano di dolore protendendo gli arti in movimenti convulsi mentre vagiti agghiaccianti accompagnavano il rumore assordate dei proiettili sparati dal soldato.
“Wain, Wain!” Baynes corse incontro al compagno e lo spinse “Wain!”
Il soldato si voltò di scatto verso il Sergente, il suo respiro era cogitato.
“Wain che hai visto?”
“Signore, stavo tenendo d’occhio il perimetro poi dietro uno di quei cosi ho visto un’ombra. Mi sono spinto avanti d’un passo appena che mi son visto puntare contro un aggeggio che ha iniziato a vorticare. Mi sono defilato appena in tempo prima d’essere investito dalla scarica”
“L’hai beccato?”
“Non ne sono sicuro signore”
“Va bene Wain” Baynes vide l’agitazione del soldato. “Tutto ok?”
“Si, Signore”. Quella situazione stava mettendo a dura prova il morale di uomini esperti come loro. Se ne doveva uscire al più presto.

UMV, Unità Mobile Vivente, c’era quindi qualcuno…qualcosa con cui prendere contatto. Qualcosa da monitorare prima di contattare il comando in orbita.
“Ok, Fox Four, occhi aperti, avanziamo il linea con contatto visivo, aprite il fuoco contro ogni cosa diversa da un maiale appeso”. Poi precisò “mirate basso. Ci servono vivi…per il momento”.
La squadra si mosse con le armi spianate scostando i grembi con le canne dei fucili.
Alcuni feti feriti o contusi erano rinvenuti così che ora il silenzio era traviato dal lugubre frignare, vagire di decine di stridule grida emesse da ibridi di carne e macchine.
Davanti a sé Baynes vide le mezzene straziate dai colpi di Wain e ustionate dalla scarica elettrica.
Si soffermò più a lungo quando ne vide una a terra, per metà maciullata, con i cavi spezzati, i tubi schiantati dai proiettili che colavano umori viscidi nel pavimento lurido. Schiacciato dall’addome flaccido della carcassa stava un feto, un corpicino il cui volto era per metà costruito di placche metalliche. Il torace si alzava e abbassava convulsamente e quando il Sergente osservò l’unico occhio lucido con le pupille dilatate puntare il suo sguardo, ebbe un fremito e scavalcò rapido lo scempio.








III

Finalmente gli uomini raggiunsero il limite della sala. Una grande porta a due ante era la via di fuga da quel luogo infernale.
Il Sergente fece uscire la squadra celermente dopo che furono lanciate le mine incendiarie.
I soldati si posizionarono al riparo del muro esterno e attesero la detonazione.
La vivida luce del fosforo oscurò i visori, poi il boato e l’inferno fu davvero tale poiché lingue di fuoco incendiarono ogni cosa. Le fiamme avvolgevano le carcasse, ne friggevano la cute. Alcune esplodevano dei gas di putrefazione e allora gli icori che ne scaturivano s’incendiavano a loro volta mentre dilagavano a terra. Strilli d’acuta sofferenza sovrastavano il cupo rumore del fuoco.
Baynes guardava quello spettacolo con sadica soddisfazione.
Quel luogo era infetto.
Quel luogo era malato corrotto deviato.
Andava epurato.

Owen lo vide sporgersi al termine del corridoio distinguendosi al riverbero delle fiamme.
“UMV a ore dodici!” gridò.
Baynes si riprese dai suoi pensieri, imbracciò il fucile: “Non facciamocelo sfuggire!”. Scontato, ma galvanizzante.
Gli uomini correvano sicuri sul nuovo terreno sgombro degli osceni ostacoli. Il morale era di nuovo alto. L’uomo è belva, gode d’insana gioia nel vedere la distruzione, trova da starci bene.
La squadra scivolava sicura con rapidi passi verso il bersaglio.
Giunti all’angolo Hortwood e Mc Finn aprirono la strada.
E furono investiti da un bagliore fulmineo.
Stavolta il colpo era atteso, mirato, vicino. Troppo vicino perché le corazze ne assorbissero la tensione. Travolse i militari in pieno.
La testa di Mc Finn esplose come un melone troppo maturo.
Hortwood ebbe metà del torace dilaniato.
I resti dei due caddero a terra con un sordo tonfo.
“Cazzo cazzo cazzo!” Jassef era sconvolto, si gettò senza pensarci sui resti dei compagni
Baynes tentò di trattenerlo senza riuscirci, il perimetro non era ancora sicuro.
Il medico raggiunse svelto Hortwood e per fortuna non tuonarono altri fulmini.
Pulito! Baynes allora ordinò l’avanzata fino a punto di raccolta e lo vide, il nemico, laggiù nella penombra scapicollarsi nel tunnel di destra.
Venti metri. Traiettoria lineare. Bersaglio mobile. Traguarda basso.
Rapido gli puntò contro l’arma e falciò l’essere.
“Owen, Candlers, rimanete qui con Jassef, gli altri con me”.
La squadra raggiunse il corpo nudo dell’uomanoide steso sul fianco. Toys lo ribaltò supino con un calcio. Gli occhi distanti e spalancati dal terrore e da dolore scrutavano febbrilmente gli aggressori.
Vivo!
Le gambe crivellate dai colpi madide di sudore e sangue, il respiro affannoso di chi soffre, il corpo cosparso di gibbosità, cicatrici e appendici simili a piccole proboscidi, il volto schiacciato e asimmetrico più simile a un batrace che a un uomo. Dal cranio glabro si dipartivano sottili cavi che raggiungevano l’arto sinistro su cui era stata impiantata una protesi biomeccanica corrispondente alle descrizione di Wain.
Un fucile a impulsi. Merda! queste bestie sono armate per bene! Il sergente si chinò sull’ibrido “Sono il Sergente Fergus Baynes dell’Esercito delle Nazioni Unite. Ho il compito di confinare tutti gli abitanti del complesso. Dimmi dove si trovano e riceverai cure mediche”.
L’essere continuava a osservare Baynes e gli altri militari con astio e rancore.
Fottuto imbecille Baynes ci riprovò “Sei a terra ferito e incapace di muoverti, non tentare di opporre resistenza” il militare non fece in tempo a terminare la frase che l’arto bionico iniziò a sfrigolare fiamme azzurre e piccole scariche si svilupparono dal cranio del ferito che cadde in preda a un fremito incontrollabile.
Baynes alzò lo sguardo verso i suoi “Via via! A Terra!”
L’umanoide venne dilaniato dall’esplosione e un’onda d’urto devastante scaraventò tutti per aria.
Lampi si dispersero in ogni direzione e sferzavano le pareti con schianti e violenti fragori.
Là dove prima c’era il corpo ferito ora si spandeva una chiazza informe di umori e frattaglie. Attorno pezzi di muro erottami dell’esplosione.
Gli uomini si riebbero, seppur storditi.
Il voxifer trasmise Grant “Signore, Kenneth è ferito”
Baynes si voltò e vide Kenneth seduto contro la parete con due grosse schegge di metallo infilzate nel ventre e nella gamba.


IV

Baynes attivò il voxifer per chiamare il medico ma l’apparecchio produsse solo rumori osceni che ne afflissero l’udito.
Ebbe un fremito e si rivolse a Owen urlando per farsi sentire oltre la chemiomaschera “Chiama la nave!” dovette gridarlo due volte per farsi sentire dal radio-operatore accompagnando l’ordine a gesti. Owen attivò il trasmettitore muovendosi per captare il segnale. Nulla, solo lo sfrigolante suono delle interferenze.
Dannazione! Baynes accese la radio a onde corte e di nuovo la sua voce raggiunse quella dell’intera squadra “Ok ragazzi, gli impulsi dell’esplosione hanno messo K.O. il segnale radio. Attivate la bassa frequenza e manteniamoci entro il raggio di contatto ogni volta che ci spostiamo. Per il momento siamo tagliati fuori con la centrale operativa della nave, chiaro?” in risposta udì la conferma via radio di tutti i superstiti della squadra.
In realtà Baynes aveva ancora un sistema per mettersi in contatto di nuovo con la nave, ma era davvero l’ultima risorsa disponibile.
La squadra stabilì il punto di raccolta dove giaceva Kenneth.
Dopo aver raccolto i caduti Jassef si dedicò al compagno ferito il quale singhiozzava sangue a ogni respiro.
“E’ messo male Signore” disse il medico a Baynes” la scheggia al ventre deve aver perforato il fegato. Ha una emorragia interna. Farò il possibile per bloccarla ma…”
“Va bene Jassef, va bene” lo rincuorò Baynes. Dobbiamo proseguire l’azione ma abbiamo già due perdite e un ferito grave.
La situazione stava prendendo una brutta piega.
“Jassef Owen e Grant rimanete qui. Mettete in sicurezza il perimetro e controllate Kenneth. Candlers, Toys e Wain con me, proseguiamo l’ispezione. Ci vediamo fra 60 minuti qui”
La squadra si divise. I passi di Baynes e dei suoi uomini si persero nei meandri del fabbricato. I rimanenti iniziarono a posizionare i sensori di movimento attorno ai corpi dei compagni.


“Bella situazione, eh Owen?”
“Più tosta del previsto, direi Grant”
“Cazzo e non ho ancora arrostito nessuno”
“La finite di sparare cazzate voi due?” s’intromesse Jassef “e che cazzo Kenneth sta morendo! Finite di piazzare i sensori e state attenti”
“Jassef stai tranquillo, lo sappiamo, è che a stare a pensare ‘ste cose mica ce ne esci, tu pensa a fare il tuo che noi la guardia la facciamo”
Ma nessuno dei tre si accorse che dalle prese d’aria del soffitto stessero uscendo congegni mobili.

Il sensore di movimento scattò.
I due militari si voltarono di scatto e videro davanti a loro una specie di aracnide meccanico dotato d’un deforme cranio umano che avanzava rapidamente entro il perimetro.
Dopo un attimo di sorpresa gli uomini gli sputarono addosso tanto piombo da fracassarlo prima che li raggiungesse.
Come cazzo ha fatto a superare i rilevatori? pensò Owen. L’istante dopo altri due sensori suonarono l’allarme.
Jassef fu costretto a mollare Kenneth e imbracciare il fucile quando altri due aracnidi bionici gli si fecero vicini mentre altri tre aggeggi furono spazzati via dai compagni.
Poi silenzio.
Oltre i raggi viola dei sensori perimetrali il buio sembrava aver ingurgitato i tre soldati e solo i sussulti del moribondo lasciavano intendere che non erano stati inghiottiti altrove.
Il fulmine lacerò l’oscurità.
In risposta i fucili schioccarono i colpi in rapide raffiche. I traccianti solcavano l’aria e si schiantavano contro la parete in fondo al corridoio.
Grant accese il lanciafiamme e tutto s’illumino di morte.
Nel bagliore i soldati videro sagome umane seminude investite dalla vampata ardente. Dal tronco di queste penzolavano braccia inerti al di sotto delle quali erano stati innestati i supporti di carabine a impulsi impiantate al di sotto del diaframma. I volti mostruosi erano frutto delle aberrazioni che le radiazioni nucleari avevano provocato agendo per tanti anni su quegli esseri: labbra fuse, occhi asimmetrici, nasi infossati. Laceri lugubri mutati in parodie d’un essere umano quelle cose avanzavano verso gli intrusi e quelli investiti dalle fiamme prendevano fuoco e allora gemendo iniziavano a correre impazziti scontrandosi fra loro e contro le pareti per poi crollare a terra ove rotolavano agonizzanti mentre le carni cocevano e ardevano e vesciche si gonfiavano e esplodevano e la pelle anneriva e si staccava, le cuciture saltavano, le fusioni lessavano e i pezzi meccanici si staccavano lentamente dalle parti carnose mentre i copri martoriati sussultavano a terra.
Jassef e Owen erano agghiacciati mentre Grant se la rideva spietato riversando con le fiamme anche la paura, il terrore e l’angoscia provata fino a quel momento.
Smise di ridere solo quando il suo corpo venne spezzato da una scarica che lo colpì in pieno nella schiena. Grant si ridusse a un ammasso di frattaglie che esplosero tutt’attorno ricoprendo i suoi compagni d’appiccicosi liquami.
Un’altra saetta e poi un’altra ancora lambirono i due prima di schiantarsi contro i resti di Horthwood e Mc Finn che furono sbalzati fracassandosi a terra fra i cadaveri umanoidi che continuavano ad ardere spandendo i rancidi fumi nell’aria.
“Jassef lancia una sonda!” urlò alla radio Owen.
Il medico reagì prontamente e un istante dopo la sonda s’accese proiettando il suo bianco riverbero in tutto il tunnel.
Oh mio Dio! Owen non si capacitò degli allucinanti esseri che si trovò di fronte: umanoidi dal cui inguine si dipartivano molteplici arti meccanici mentre da ogni orifizio fuoriuscivano cavi che si collegavano al ventre in cui era infisso un generatore di energia che rigurgitava scariche violente.
I soldati ripiegarono sputando quanto più piombo possibile contro quelle aberrazioni nel disperato tentativo di rallentarne l’avanzata e raggiungere una via d’uscita.
Jassef cadde a terra quando fu raggiunto da una folgore che gli amputò la gamba e Owen lo avrebbe anche soccorso se un umanoide dalla pelle ancora lambita dalle fiamme e cosparsa di pustole non gli avesse improvvisamente vomitato addosso un mortale fiotto elettrico troncandogli il respiro e la vita.

Kenneth aprì gli occhi e vide su di se delle zampe bioniche.
La vista mise a fuoco un essere ripugnante metà macchina e metà uomo con il corpo infisso brutalmente su arti meccanici che ricambiava il suo sguardo. Le gambe lui non se le sentiva più così non accusò alcun dolore quando il biocongegno ne trafisse una con la protesi acuminata.
La mano di Kenneth raggiunse la sacca d’esplosivi.
Fece appena in tempo a togliere la linguetta a una delle granate termiche prima che la folgore lo finisse.

V

Il boato fu sconvolgente anche per Baynes e la sua squadra.
Stavano consultando una vecchia piantina, lisa e consunta che gli permise di orientarsi e individuare la via più rapida per raggiungere l’ex sala controllo limitrofa al nocciolo in cui avrebbero piazzato le cariche di demolizione quando il fragore della detonazione e l’onda d’urto che ne consegui non fece perdere loro l’equilibrio mentre le radio fischiarono distorte dalle interferenze.
“Dev’essere successo qualcosa di brutto a Grant e gli altri!” affermò Toys.
“Che facciamo Signore?” chiese Candlers.
Non si può annullare la missione ma fanculo, la situazione sta precipitando! il boato è stato devastante! Sembra siano esplose una dozzina di granate termiche! Baynes riflettè un attimo prima di decidere. I suoi uomini lassù stavano combattendo duramente. Avevano armi sofisticate, un addestramento impeccabile e una volontà di ferro. Se davvero erano messi male avrebbero comunque venduto cara la pelle. In ogni caso lui e la sua squadra sarebbero arrivati a scontro concluso, a favore dell’una…o dell’altra parte.
Avanti. Andare avanti e chiudere la missione prima possibile. Quella era l’unica strada.
“Si prosegue” disse Baynes con tono che non ammetteva repliche.
I soldati continuarono ad addentrarsi nelle viscere della centrale senza incontrare ulteriore resistenza ma a mano a mano che proseguivano la radioattività aumentava e il mal di testa che iniziò a tormentare Baynes era un chiaro segnale di esposizione prolungata a quell’ambiente malsano.
Il livello di degrado del fabbricato era sempre peggio, come se il complesso avesse iniziato a marcire dal cuore e l’infezione si fosse lentamente espansa verso l’esterno continuando inesorabilmente a erodere i meandri più nascosti.
Macerie, rottami, tubazioni spezzate porte divelte e pezzi di murature crollati rappresentavano il palcoscenico su cui i quattro uomini recitavano quello snervante spettacolo.

Pareva che oltre la parete vi fossero centinaia di macchinari in funzione.
Da dietro la porta sigillata proveniva un suono assordante di materiali tagliati battuti fusi avvitati e una intensa luce filtrava dalle fessure delle ante di acciaio rinforzato.
Toys estrasse la mina sonica dalla giberna e la colloco in corrispondenza della serratura, poi i quattro si gettarono al riparo e un momento dopo l’esplosivo schiantò i cardini e la porta venne divelta con facilità.
Baynes, Candlers, Toys e Wain oltrepassarono il varco con le armi spianate pronte a far fuoco.
Gli accolse un bagliore accecante di decine e decine di neon che illuminavano l’enorme salone come se fosse giorno.
E una distesa di metallo e carne apparve alla vista dei militari increduli e sgomenti.
V’erano mucchi accatastati di arti recisi toraci straziati appendici immonde tentacoli brandelli di cute ossa e viscere e pezzi tutti rifiuti d’umanoidi. Eccessi questi venuti estirpati dai corpi deformi da cui fluivano fiotti d’umori marci.
Altre cataste erano invece di ferraglie ingranaggi cavi pistoni articolazioni assemblati in pezzi antropomorfi simili ad arti e parti del corpo umano.
Dal soffitto pendevano argani mobili con pinze che prelevavano manciate di materiale dall’una o dall’altra accozzaglia trasportandole fino a tavoli d’assemblaggio, centinaia di tavoli su cui distesi stavano corpi umanoidi incompleti ma coscienti che attendevano d’essere ricomposti.
Il clangore delle macchine operanti imbrogliato al berciare e al gemere degli esseri mutilati generava una cacofonia che violentava i quattro uomini proiettati in quel mondo mostruoso.
Quando una testa mozzata volò friggendo fino a Baynes, il suo sconvolgimento non si spinse oltre l’oblio in cui già lui e i suoi compagni erano annegati.
Tutto questo non può essere vero! No, non esiste! E’ solo un terrificante incubo! La mente umana seppur mutata dai campi radioattivi non può aver partorito tali oscenità! Questi sono bestie immonde, scempi aberranti provenienti dai meandri dell’inferno!
Tali i pensieri che vorticavano nella mente di Baynes mentre quel cranio dalle cui appendici spinali dipartivano antenne e prolunghe continuava a ronzare attorno ai militari studiandone l’aspetto con occhi a obiettivo che s’allungavano e s’accorciavano freneticamente.

I neon si spensero e il sinistro suono d’allarme saturò l’ambiente accompagnato dalla luce alternata delle sirene d’emergenza.
Quell’ improvviso cambiamento riportò gli uomini coi piedi per terra.
“Oh merda! Capo, c’hanno beccato!” esclamò Toys.
“Che facciamo?!” chiese agosciato Candlers.
“Sangue freddo e grilletto facile” fu la risposta di Baynes “questi cosi non sono immortali”.
I quattro uomini si defilarono verso i primi ripari disponibili e aprirono il fuoco. Il primo bersaglio di Baynes fu un mezzobusto che avanzava a tentoni verso di lui trascinandosi sulle braccia mentre viscere e cavi fuoriuscivano dal ventre aperto.
Dai depositi, dagli antri, dalle porte apparivano biomacchine soldato armate di fucili a impulsi.
La sala si riempì del crepitio dei fucili e dei bagliori sfrigolanti delle saette.
Alcuni corpi vennero attivati direttamente dai tavoli d’assemblaggio non appena gli argani terminavano di connetterne  le tubazioni e iniettavano fluidi stimolanti per via endovenosa.
I colpi dei militari erano precisi e rapidi ma questo non bastò a fermare il fiotto di energia che investì il bancone dietro cui si riparava Wain. Tavola e uomo vennero spazzati via dal getto potente della scarica andandosi a schiantare brutalmente contro la parete opposta.
Baynes osservò inerme la scena ma riprese a sparare e fu allora che a cinquanta yarde di distanza scorse il silo di cemento spesso e cupo da cui si dipartivano centinaia di connettori e tubazioni: il reattore nucleare della centrale.
Trasmise l’obiettivo ai rilevatori dei suoi due compagni sì da  portare finalmente a termine il loro lavoro, poi, con fermezza, innestò la baionetta sulla canna del suo fucile mitragliatore e usci allo scoperto.
Il grido soffocato dalla maschera non sminuiva l’impeto battagliero di quell’uomo. Infilzò in pieno petto una belva fatta di carne e metallo recidendone i vasi sintetici e perforando la turbina di alimentazione. La cosa tremò febbrilmente scaturendo scintille e umori dalla lacerazione e cadendo a terra contorcendosi. Baynes ritrasse con forza l’arma e prese a sparare sui alcuni copri deformi che barcollavano verso lui.
Toys gli fu accanto in breve tempo. L’agitazione era percepibile dalla foga con cui sparava mentre il suo petto s’alzava e abbassava con ritmo frenetico e il respiratore emetteva suoni profondi e rapidi. Si gettò a terra appena in tempo per non essere investito dal raggio nemico ma cadde in una pozza melmosa di viscidi icori.
La radio gracchiò la voce concitata di Candles “Ragazzi, dove siete? Non vi vedo!”
Baynes si voltò per cercare l’amico ma non lo vide.
“Eccolo là” disse Toys, lo vide anche il Sergente.
Stava al riparo d’un tavolo su cui poggiava anche un inerme corpo straziato dai colpi mentre Candles usando la stessa carcassa come riparo, sparava a raffica verso una mezza dozzina di umanomacchine che tentavano di raggiungerlo riversando sul militare ondate di scariche brutali e imprecise.
“Candlers! Candlers! Ore tre, ci vedi?” Candlers si votò di scatto verso la loro posizione annuendo. I due allora iniziarono a bersagliare le belve semiumane in modo da coprire il ripiegamento dell’amico.
A pochi passi da loro Candlers venne raggiunto da un’improvvisa scarica che ne fece esplodere il corpo dalla cintola in giù. Interiora, sangue e frattaglie schizzarono addosso a Baynes e Toys diluendosi con i liquami viscosi che già ne ricoprivano tute e corazze.
Baynes scosse Toys annichilito da quell’orrore: “Coraggio Toys manca poco! Poi si torna il punto di raccolta e chiamiamo la nave” Balle! Però adesso mi serve accanto un fucile maneggiato da una mente lucida.
Candlers esalò gli ultimi respiri mentre tentava di raggiungere gli amici, fu travolto da un’altra scarica che lo lasciò a terra fumante e immobile.
Baynes s’infilo sulla destra seguito da Toys. Voltato l’angolo s’imbatté in una presenza giovane che lo fissava con sguardo catatonico.
Il corpo del ragazzo si trovava dietro un muretto ma vedendone anche solo metà non sembrava aver segni evidenti di mutazioni se non per alcune ustioni da radiazioni e cicatrici all’altezza del collo e del petto.
Baynes tentò di stabilire un contatto: “Ehi, tu! Mi capisci? Di ai tuoi che non siamo forze d’invasione”. Il ragazzo continuava a osservarlo con sguardo assente. Il Sergente s’avvicinò cautamente mentre Toys lo copriva alle spalle: “Mi senti? Avete incominciato voi! Noi dovevamo solo censirvi e scortarvi in zone sicure”.
L’interrogato piegò allora le labbra in una smorfia, poi aprì la bocca come se la mandibola mancasse dell’articolazione e una luce verdastra proveniente dall’interno riempì la gola mentre il sibilo profondo d’un reattore si diffuse nell’antro.
Il ragazzo sembrò levarsi in piedi ma poi continuò a sollevarsi sempre più in alto mentre poderosi arti meccanici si snodavano da dietro al muretto. Due delle protesi si raccolsero in prossimità della bocca e cominciarono a generare flussi di corrente elettrica che venivano inghiottiti dall’essere mentre la luce verdastra si faceva via via più intensa.
Baynes e Toys indietreggiarono ma reagirono troppo lentamente prima di capire la gravità della situazione. Con un boato magnetico la bocca dell’essere vomitò un onda positronica sui due che vennero catapultati in aria cadendo a trenta passi di distanza.

Baynes si riprese quasi subito. Un osso fuoriusciva dalla gamba lacerando la tuta protettiva e bagnando corazza e pavimento col suo caldo sangue.
Toys era poco distante che si lamentava. Il suo braccio penzolava spezzato e la gamba era perforata da uno sperone d’acciaio.
Al di la della catasta di ferraglie oltre cui erano caduti s’udiva il rombo del reattore dell’enorme biomacchina che si faceva via via più vicino.
E’ ora di farla finita. Questa missione è costata più del previsto.
“Toys” comunicò il sergente Baynes alla radio “Toys, chiamo la nave”
Toys, stordito dal dolore mosse la testa senza capire cosa dicesse.
Baynes estrasse dalla giberna il radiotrasmettitore. Se le onde a impulso avevano mandato fuori uso il segnale radio, non avevano certo interferito con la frequenza ζ del trasmettitore d’emergenza.
Il Sergente attese qualche istante fanculo! e premette il pulsante.

Epilogo

La spia rossa si accese sul display del radio-operatore della Miserere in orbita attorno a circolo polare artico. “Signore?!”.
L’Ammiraglio si avvicinò al monitor e vide il segnale “Ok Caporale, ci penso io”
L’ufficiale si portò davanti al cruscotto di comando sporgendosi verso il comunicatore: “Squadre arma, è l’Ammiraglio Golden che parla. Fuoco d’efficacia su tutto il Settore 83, ripeto. Fuoco d’efficacia su tutto il Settore 83”.


Alessandro Allegrucci

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